Ma ti sembra normale?
Che in un punto imprecisato dello Spazio Tempo abbia deciso di incarnarmi in questa vita, la mia, appunto. Questa qui. Che deliberatamente abbia scelto tanto caos, le malattie la solitudine che ne deriva. Dico, ti sembra normale?
Ma tu non ti devi mettere a livello umano ma a quello dell’anima.
Che cosa! Non concordo affatto: Anima e Corpo non sono entità separate! Qua sulla Terra ci balocchiamo con i nomi ma nei momenti importanti, solenni, dinanzi alla scelta decisiva, ridurre e semplificare, tocca.
Escludo che nella forma non nata, abbia scelto deliberatamente di impelagarmi in tante ambasce. Mio padre avrebbe scelto una espressione colorita per licenziare questo ragionamento assurdo, avrebbe detto: non fare la fregnona.
No. Sono un sacco di roba ma fregnona, stupida fino a questo punto, no. Questo masochismo buddista lo trovo persecutorio una forma di attaccamento al senso di colpa attraverso il succedersi delle vite. Quello che per i cristiani è paradiso e inferno, per i buddisti è karma; la sostanza non cambia. Da qualche parte e in qualche modo devo espiare il male. E un urlo dal profondo, dalle viscere, mi sale. Ma che espiare! Non basta quanto ho già restituito in termini di dolore sofferenza fisica di notti insonni di lacrime di ragionamenti sfiancanti di cacca di pipì di prelievi di sangue di tac, alla vita?
E poi non sono io che devo espiare, uno non sceglie deliberatamente il male. Quello è un ricamo a tombolo che decine di generazioni si passano di mano e a me magari, cazzo! Tocca la rifinitura finale. Chiuderlo. Congedarlo. Scegliere, se bruciarlo o tenerlo come sottovaso.
La rabbia mi sale ascendente e so che adesso intendo seguirla. Edda ce lo ricordava spesso, state in guardia, la rabbia è forza ciclopica capace di generare, se rivolta alla propria personale liberazione, un cambiamento epocale. Un salto quantico nel proprio destino. Da creatura passiva ad agente del cambiamento. A condizione di non usarla contro qualcuno ma indirizzarla per sfondare la porta di casa dentro cui mi sono chiusa a chiave tanto tempo fa e quella chiave ho gettato nel gabinetto e, follia, tirato la scarico. Un pesce se la sarà mangiata al largo delle isole Tremiti determinando la sua morte nell’arco di poche ore. Pesa una chiave; se lo sarà portato a fondo. Ma lui che ne poteva sapere a meno che, il meschino, non abbia scelto lui di nascere pesce!
La rabbia è energia rivoluzionaria se la uso per perdonarmi e perdonare che è già sufficiente quello che è accaduto: basta. Basta questo ossessivo rosario delle colpe che se qua c’è un vero responsabile si chiama, Dio. Oh ma no, lui ci lascia liberi di scegliere fra il bene e il male! Liberi! Mò ti mangio. Se sono ignorante se sono bisognoso se vivo nella miseria più disperante se sono malato, scusa di grazia, cosa sarei libero di scegliere?
I limiti scrivono il nostro destino. Posso solo pregare sperare immaginare che la vita in qualche modo me li faccia almeno vedere. Che io sappia di essere tanto disgraziato e che io sappia in quel momento non prendermela con nessuno, mio padre mia madre, ma sappia accogliere con estrema tenerezza questa slavina che mi risucchia giù. Come la chiave col pesce. Ecco mio cuore fammi questo miracolo stamattina, fammi vedere il volto di Rabbia. E’ lo stesso di Amore l’ultimo giorno in cui è stato tradito dopo esserlo stato già, decine di volte altre ma allora pensò che era tutta colpa sua e invece oggi, no. Oggi dice: l’unica colpa è quella di credere che esista colpa.
Non esiste colpa, esiste amore preso a calci e buttato a mare. Dio è capace di tanta nefandezza e noi ancora qui a pregarlo di aiutarci? Ma basta, non vedi che è inerme, impotente e ha terribilmente bisogno pure di me per dare i nomi, capirci qualche cosa, l’un per cento sia chiaro, di questo bordello dove talvolta capita di imboscarci per alcuni anni. Alcuni anni tirare il fiato ma, attenzione! A condizione di smettere di parlare perché la voce potrebbe localizzarmi, smascherarmi. Ecco, oggi è il 17 dicembre mi sembra data propizia per fare il presepio. Io sono stalla fieno bue asino. Sono il freddo che sta fuori e i poveracci che, come me, hanno adesso trovato riparo qua dentro.
Maria, Giuseppe: sempre io. Il nascituro, pochi giorni altri, è il mistero che mi porto addosso come una bomba attaccata al suo infiammabile cordone ombelicale. E’ piuttosto lungo e se l’accendo adesso forse arriverà a destinazione il 25.
La mia rabbia è la stessa di un cerino acceso.
Ricordo una frase di Frida Khalo la appuntò sul diario il suo ultimo giorno, il 13 luglio 1954. All’incirca dice: Basta. Io qui sulla terra non ci voglio più tornare. Niente giustifica questa sofferenza, questo dolore, questo mare di disgrazie. E per quanto mi riguarda, può finire qui.
Che coraggio immenso smarcarsi così. In pienezza. Smisurata grazia della mente. E del cuore. Che poi quelli, gemelli monozigoti, sono. Appena nati, non li distingui.