E infine.
Incurante della Ragione, del Dolore del Mondo e del mio, ieri sera alle 23 che avevo sonno, con Rosi abbiamo portato la luce di ben tre piccoli piccolissimi e medi Gesù ignudi, in tutta casa. Cantando Tu scendi dalle Stelle, le strofe che ci ricordiamo mandate in loop per tutta la durata della nostra infantile processione.
Entriamo dappertutto anche in bagno, cominciando dalla cucina dove abbiamo da poco finito di cenare, ho ripassato la polenta in forno per farne la crosticina cucinato il pollo con il rosmarino e il limone nel Tajine che appoggio direttamente sul fuoco del piano cottura, frullato il fegato e i durelli con cipolla alloro e vino per arrivare infine al Patè che sistemo sui crostini di pane. Durante la cena io e Rosi, mia sorella, sedute una di fronte all’altra, sembriamo essere scampate a un naufragio e lo siamo. Il 2023 è stato un anno di onde alte di un persistente senso di nausea indotto dal rullio del mare. Tuttavia lo abbiamo attraversato. Come con quali risorse aiutate da chissà quanti e quali angeli custodi, nostra madre, papà li hanno reclutati in cielo per sostenerci, reggerci nei giorni difficili, siamo infine approdate sulla riva: il tavolo della mia cucina. Ci guardiamo stupite, grate. Nonostante tanta dura vita Rosanna rimane una delle creature più miti e più belle della terra. Un angelo andato in pensione assai giovane, dalle feste dai viaggi dall’ozio, per fare degli ultimi dieci anni della vita di mamma e di papà, i più belli. Di lei si approfittò pure Pino i giorni precedenti alla sua tragica morte, nel marzo del 2010, anni indimenticabili. Trasudanti, stillanti di amore sorrisi leccornie di ogni tipo e di vigilie, a centinaia. Quelle che lei ha passato insieme a uno dei due, a turno, nelle sale di attesa del Pronto Soccorso a Bari, durante tanti ricoveri a cui la malattia li ha costretti. Di lei, di Rosi, ci siamo tutti approfittati, io per prima, perché stando a Lecce e avendo adottato qualche anno prima in tornate diverse due figli, a lei ho delegato senza entrare in merito ad alcunchè, la complicata gestione del sistema orbitante di badanti intorno alla sedia a rotelle di mamma, alla poltrona davanti alla Tivù, di papà.
Due donne, Alita e Liliana, piene di energia salute bellezza e soprattutto, pazienza. Due donne georgiane, entrate nella nostra vita l’estate del 2004 e con noi rimaste fino all’ultimo atto di respiro di papà, il 3 gennaio del 2012. Sono state loro le persone fisicamente più vicine alla sofferenza e all’imbarazzo che ne segue, loro insieme al sostegno amorevole appassionato quotidiano di Rosanna, hanno accompagnato di ora in ora di giorno in giorno Pina e Battista alla soglia estrema, sulla Linea. Una montagna di fatica fisica e psicologica. Negli ultimi anni mamma è stata imboccata, il cibo ridotto in poltiglia profumata; girata e voltata come pupazzo di stoffa per liberarla dalla cacca pulirla profumarla, vestirla. Oltre alla demenza e a un cluster di altre offese malfunzionamenti disfunzioni, aggravò tutto il Parkinson, malattia degenerativa che ti inchioda in una posizione sempre la stessa; una sorta di incantesimo che ti trasforma in statua. Gli ultimi tre anni non riuscì più a distendere le gambe che tenne piegate come una ranocchietta tutto il tempo sotto alle lenzuola. Né più a distendere le dita delle mani che serrò intorno a una pallina di gomma che a turno ci si interessava di lasciarle nel palmo. Un danno che rese impresa impossibile anche la deglutizione e, furto più grave, le rubò le parole. Sprofondò si inabissò nel silenzio due anni prima della sua morte, il 14 luglio 2011. Non sapremo mai quanto comprendesse, non sapremo mai quanto riuscì ad elaborare di ciò che accadde in quel tempo, l’evento più violento e doloroso, più straziante fu la morte improvvisa di Pino, mio fratello. Portato via da un’infezione polmonare che ebbe la meglio sul suo sistema immunitario a causa di un diabete non curato. Pino soffriva, fin da bambino di Depressione; cosa che ti mangia vivo. Ti sbocconcella cominciando dalle unghie poi i capelli poi le pellicine, piano piano impercettibilmente fino a lasciarti a terra.
Non diciamoglielo, disse Rosanna. No, dissi io. Non sono d’accordo. Mi ribellai al pensiero di avere un qualche tipo potere su di lei. Potere di decidere cosa un altro essere umano è in grado di sopportare o non. Potere di sapere una cosa così importante, della morte di mio fratello, suo figlio, e lasciare lei ignorante. Stupida. Ebete. Rifiutai l’oscurità l’inganno la violenza di chi sa e decide per sé e per gli altri. Convinsi Rosanna a dirglielo, mio padre si tenne fuori, lui ha sempre sostenuto il partito: lascia che la vita decida per te che tanto tu faresti peggio. Un orrore, lo so. Lei amava Pino come nessuno. E’ stato il figlio che non ha protetto non ha difeso non ha saputo amare. Lo ha lasciato andare in una adozione senza capo né coda una rapina fatta dal fratello di mio padre e sua moglie, un furto con destrezza, complice il silenzio la rassegnazione di mio padre la sua ottusa predisposizione al quieto vivere. Una debolezza di cui io pure porto le cicatrici. Moriranno con me.
Mi stesi sul letto, le accarezzavo il viso. Rosanna ci guardava, tesissima. Mamma, mamma, le accarezzavo il viso, quel nobile meraviglioso libro dalle pagine così vecchie che potrebbero sbriciolarsi lì, in quel momento. Mamma, Pino è morto.
Mamma, se lo è portato via la Polmonite, Rosanna era con lui, in ospedale. Gli ha stretto la mano tutto il tempo, tutta la notte, mamma. Poi, è andato. Le continuavo ad accarezzare il volto, quello che io ho amato più di ogni altro nella mia vita, e lei cominciò a piangere.
Quelle parole quella verità elementare brutale e allo stesso vitale aveva attraversato le soglie gli sbarramenti le opacità ed era giunta a portarle il suo messaggio di salvezza.
Sì perché non siamo noi a dire a sapere cosa ci salverà. Noi qui possiamo solo fare passare la vita per quello che è. Una furia, una bestia vorace, insaziabile. Ma anche una canzone una nenia una processione. Un bambino Gesù da restituire alla sua culla alla sua storia di violenza e di resurrezione. Mamma non parlava più da oltre un anno, ma il Parkinson nulla potè contro l’eloquenza delle lacrime. Pianse. Se stessa il figlio il marito stupido e la stupida vita. E io seppi di averle fatto un regalo. Di averle restituito la culla.